Oltre un terzo degli adolescenti che giocano a calcio abbandona anzitempo. Educatori e genitori giocano un ruolo fondamentale, i consigli per far sì che ciò non accada.
Le statistiche ci dicono che il picco di massima pratica sportiva si registra tra gli 11 e i 14 anni. Subito dopo inizia il calo, oltre un terzo degli adolescenti abbandona. Un dato eclatante su cui riflettere. Qualcuno ritiene che sia responsabilità unica dei ragazzi, considerati inetti, incapaci di cogliere e perseguire i valori dello sport, facili prede dei videogiochi o di altri divertimenti di più comodo e immediato consumo. Secondo altri la causa principale sta nella difficoltà che i giovani incontrano nell’accettare il confronto e le sconfitte con i coetanei. I genitori, dal canto loro, dovrebbero essere preparati a una tale evenienza eppure a volte vengono sorpresi e delusi, arrivando persino ad accusare i figli di “tradimento”, additandoli come ingrati rispetto a quanto investito in termini di tempo e denaro. Peggio, qualcuno si consola credendo o fingendo di credere al giovane che motiva la rinuncia dicendo che non ha più tempo per partite e allenamenti. Ovviamente non è così: i ragazzi per le cose che amano il tempo lo trovano.
CHI ABBANDONA CHI?
Come stanno realmente le cose? Che vi sia un calo della pratica sportiva nel periodo dell’adolescenza è un dato certo. Meno certo è che siano loro ad abbandonare. Forse è vero il contrario, ovvero che proprio nel passaggio dalla fanciullezza alla giovinezza si consumi nei loro confronti il “tradimento” dello sport. Forse una o un quattordicenne con diversi anni di pratica alle spalle hanno già accumulato troppe “tossine sportive”, per esempio quelle prodotte dalla pressione creata dalla precedenza che viene data ai risultati sull’impegno. I ragazzi vengono inseriti in un percorso dove la selezione è sia la regola sia l’esito finale. Finiscono in un imbuto nel quale entrano in tanti e dal quale escono in pochi, perché è apertamente dichiarato che il traguardo è proprio quello di fare selezione. Se non si riesce a passare dalle strette maglie imposte lo sport li abbandona, e all’adolescente non resta che prenderne atto, ferito e sconfitto troppo presto e a volte irrimediabilmente.
NON SELEZIONE A TUTTI I COSTI
Si potrebbe obiettare: ma la competizione è parte integrante dell’esperienza sportiva! È vero. Ma attenti a non confondere la competizione (e la relativa carica agonistica) con la selezione. Lo sport deve insegnare e spronare, a dare sempre il meglio di sé non a combattere per eliminare gli avversari. Al contrario, l’avversario è quanto di più prezioso ci possa essere, senza di lui, senza il confronto e la concorrenza non è possibile scoprire il proprio valore e superare i propri limiti. Il dono più alto che lo sport ci può dare non è la vittoria sempre e comunque, ma la consapevolezza di quanto valiamo, di quanto potremmo valere e dei nostri limiti, individuali e di squadra. I genitori, da questo punto di vista, possono fare la differenza, non fosse altro per il ruolo di educatori che compete loro di dovere. Dovrebbero capire i ritmi dello sport, gli interessi, le esasperazioni e funzionare da anticorpi positivi. Potrebbero riesaminare le loro aspettative e domandarsi se esse non finiscano, anche involontariamente, per alimentare nausea verso la pratica sportiva, fino a produrre malessere e, appunto, abbandono.
Come può allora un educatore, genitore o allenatore che sia, far innamorare dello sport un adolescente? La risposta è incredibilmente semplice e consiste nell’imparare e mettere in atto quattro azioni di fondamentale importanza:
- individuate in ciascun ragazzo le qualità che lo contraddistinguono e utilizzatele come leva per motivarlo e far crescere la sua autostima;
- fategli capire quanto queste qualità possono essere importanti e utili per la squadra;
- verificate assieme a lui i risultati raggiunti, cercando di quantificarli in modo oggettivo anche in relazione a quelli della squadra. Dopo un’iniziale diffidenza (a nessuno piace essere valutato) la verifica diventa una base di dialogo e confronto (a tutti piace sapere quanto si riesce a migliorare);
- tutti i ragazzi hanno un sogno nel cuore, cercate di capire il loro (diventare come…, dimostrare che…, riuscire a… e così via), a volte è così profondo che neanche loro sanno quale sia. Una volta individuato vi aiuterà a capire quali sono le motivazioni intrinseche che spingono il giovane a fare attività sportiva.
Se tutto ciò non viene fatto per un ragazzo la tentazione di lasciare può diventare forte: lo sport perde di gusto. E lo sport è come il sale: quando perde “sapore” non ha più senso d’essere, rimane solo la fatica, la noia di ripetere gesti privi di senso. Non fate perdere ai vostri figli il gusto di giocare a calcio!
Fonte: allfootball.it [..vai al sito..]